13 Reasons Why: lo possiamo far vedere ai figli?
TH1RTEEN R3ASONS WHY, trascrizione grafica delle tredici ragioni per le quali un’adolescente si è tolta la vita. È questo il titolo di una serie televisiva proposta su Netflix, un servizio di distribuzione di contenuti video a pagamento, mutuata a sua volta dal romanzo “13” di Jay Asher. Il ritmo delle puntate è scandito dall’ascolto di sette audiocassette nelle quali l’adolescente Hannah Baker delinea con precisione, senza nessuno sconto, le sofferenze che l’hanno portata al suicidio, coinvolgendo nel lungo percorso di rivisitazione i compagni di liceo che hanno contribuito alla tragica scelta.
«Possiamo farlo vedere ai nostri figli?» è la richiesta che sempre più pressante giunge all’Ufficio di pastorale della comunicazione della diocesi di Padova. Non c’è una risposta univoca e definitiva, anche per evitare un aspetto di delega che potrebbe scaricare su altri una responsabilità che spetta a ciascun genitore, quanto piuttosto una serie di considerazioni che possono far completare in maniera più informata la scelta.
Ecco alcune considerazioni che possono orientare alla fruizione della serie:
a) Dipende anche dall’età dei figli. Tenete presente che all’estero le reazioni sono state le più disparata: in alcuni istituti dell’Ontario, di Toronto e di Hamilton, i consigli scolastici stanno vietando addirittura le discussioni perché ritengono la serie troppo violenta e negativa (pratica che non condividiamo, meglio parlarne! Nd.r.). In Nuova Zelanda sarà vietata la visione ai minori di 18 anni. Per quanto ci riguarda quanto più in erba sono i giovani che accostano questa serie tanto più è opportuno un affiancamento efficace!
b) Un consiglio opportuno, quindi, è proprio quello di accompagnare la visione di questa serie con un affiancamento da parte degli adulti in quanto i temi trattati si presentano estremamente delicati per chi non ha ancora una psiche strutturata: violenza sessuale, depressione, suicidio. Anche perché le alternative sono la visione solitaria (sconsigliata) o il divieto. Proibirne la visione, ipotizzando con buona approssimazione le reazioni che si possono innescare nei confronti del vietante ma, soprattutto, consapevoli del fatto che i ragazzi lo possono fruire da qualsiasi mezzo abbiano a disposizione i compagni di scuola sarebbe veramente una misura adeguata ed efficace?
b) Dove possibile è opportuno discuterne in comunità: a scuola, in ambiente parrocchiale, in contesti associativi, nell’ambito sportivo. Il confronto aiuta sempre a ridimensionare, stemperare, individuare soluzioni possibili e creare empatia con il mondo degli adulti e dei formatori
c) Andrebbe ridimensionata l’enfasi con la quale il mondo degli adolescenti è presentato come un ambiente sempre adeguato, mentre la presenza degli adulti e l’ambiente scolastico è più una cornice inadeguata che un supporto alla crescita.
d) Hannah Baker, la ragazza che si è tolta la vita, è presentata come il personaggio che vince su tutti e il suicidio come l’unica via d’uscita dalla gabbia psichica che percepisce attorno a sé. Le sette audiocassette da lei registrate e distribuite dopo la morte sono un po’ strumento che aiuta a prendere coscienza, con la lentezza della registrazione analogica, e un po’ dispositivo di vendetta. Quest’ultimo percorso potrebbe far ritenere ai più giovani il togliersi la vita come uno strumento adeguato a punire quanti li hanno feriti, non compresi e trascurati.
Una prospettiva insana che, unita al desiderio di emulazione, potrebbe diventare una miscela molto pericolosa per chi non è ancora attrezzato a gestire le frustrazioni e le ferite della vita.
Marco Sanavio
direttore Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Padova